‼️ La finta rivoluzione di Valditara
Nel suo libro "La rivoluzione del buon senso", il ministro Giuseppe Valditara disegna la visione di una società ordinata, efficiente, democratica. Ma dietro l’apparente rottura con il progressismo si cela l’ennesimo progetto conforme alle logiche del mercato, subordinato all’economia globale, perfettamente integrato nel paradigma liberale.
Il “merito” diventa la versione aggiornata del mito del self-made man: un’illusione di giustizia che ignora le disuguaglianze di partenza e consolida l’ordine esistente. Nessuna critica al capitalismo che produce queste disuguaglianze, nessuna messa in discussione del sistema. Anzi, Valditara cita con ammirazione Reagan e Thatcher, reclamando per l’Europa una svolta ancora più “liberale” e deregulated. Nel libro infatti si difende a spada tratta il libero mercato, arrivando ad addossare tutte le guerre del Novecento alle colpe dei regimi anti-capitalisti.
È evidente che in quest'ottica la scuola viene ridotta a fabbrica di "efficienza" e “capitale umano”. Si forma il precario, non l’uomo, mentre l’identità nazionale viene ridotta al vago patriottismo dei valori democratici, cristiani e universali, senza forza né conflitto. E l’autorità, tanto cara ai vecchi parrucconi, non è nient'altro che la postura grottesca da preside Skinner, tutta ordine e regolamenti, ma senza visione né ispirazione.
Insomma, ciò che La rivoluzione del buon senso non mette in discussione è il ruolo sistemico della scuola come apparato di omologazione e conformismo a una società liquida, economica e profondamente post-identitaria. L’“ordine” che Valditara invoca è quello del mercato, dell’individualismo produttivo, dell’obbedienza civile. Dietro un libro apparentemente normale, si cela il manifesto politico di una destra borghese che non ha niente a che vedere con le istanze radicali, rivoluzionarie e comunitarie del nostro mondo.
Noi rivendichiamo l’opposto: una scuola che non formi impiegati, ma uomini. Una scuola fondata sulla disciplina interiore, sulla comunità, sull’appartenenza. Una scuola dove cultura significa comunità, corpo, militanza. Una scuola dove identità vuol dire coscienza, etica e stile. Perchè contro il “buon senso” dei conservatori noi sceglieremo sempre l'unico, vero, imperativo rivoluzionario: «vivi pericolosamente!».
bloccostudentesco.org
Nel suo libro "La rivoluzione del buon senso", il ministro Giuseppe Valditara disegna la visione di una società ordinata, efficiente, democratica. Ma dietro l’apparente rottura con il progressismo si cela l’ennesimo progetto conforme alle logiche del mercato, subordinato all’economia globale, perfettamente integrato nel paradigma liberale.
Il “merito” diventa la versione aggiornata del mito del self-made man: un’illusione di giustizia che ignora le disuguaglianze di partenza e consolida l’ordine esistente. Nessuna critica al capitalismo che produce queste disuguaglianze, nessuna messa in discussione del sistema. Anzi, Valditara cita con ammirazione Reagan e Thatcher, reclamando per l’Europa una svolta ancora più “liberale” e deregulated. Nel libro infatti si difende a spada tratta il libero mercato, arrivando ad addossare tutte le guerre del Novecento alle colpe dei regimi anti-capitalisti.
È evidente che in quest'ottica la scuola viene ridotta a fabbrica di "efficienza" e “capitale umano”. Si forma il precario, non l’uomo, mentre l’identità nazionale viene ridotta al vago patriottismo dei valori democratici, cristiani e universali, senza forza né conflitto. E l’autorità, tanto cara ai vecchi parrucconi, non è nient'altro che la postura grottesca da preside Skinner, tutta ordine e regolamenti, ma senza visione né ispirazione.
Insomma, ciò che La rivoluzione del buon senso non mette in discussione è il ruolo sistemico della scuola come apparato di omologazione e conformismo a una società liquida, economica e profondamente post-identitaria. L’“ordine” che Valditara invoca è quello del mercato, dell’individualismo produttivo, dell’obbedienza civile. Dietro un libro apparentemente normale, si cela il manifesto politico di una destra borghese che non ha niente a che vedere con le istanze radicali, rivoluzionarie e comunitarie del nostro mondo.
Noi rivendichiamo l’opposto: una scuola che non formi impiegati, ma uomini. Una scuola fondata sulla disciplina interiore, sulla comunità, sull’appartenenza. Una scuola dove cultura significa comunità, corpo, militanza. Una scuola dove identità vuol dire coscienza, etica e stile. Perchè contro il “buon senso” dei conservatori noi sceglieremo sempre l'unico, vero, imperativo rivoluzionario: «vivi pericolosamente!».
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Nel suo libro "La rivoluzione del buon senso", il ministro Giuseppe Valditara disegna la visione di una società ordinata, efficiente, democratica. Ma dietro l’apparente rottura con il progressismo si cela l’ennesimo progetto conforme alle logiche del mercato, subordinato all’economia globale, perfettamente integrato nel paradigma liberale.
Il “merito” diventa la versione aggiornata del mito del self-made man: un’illusione di giustizia che ignora le disuguaglianze di partenza e consolida l’ordine esistente. Nessuna critica al capitalismo che produce queste disuguaglianze, nessuna messa in discussione del sistema. Anzi, Valditara cita con ammirazione Reagan e Thatcher, reclamando per l’Europa una svolta ancora più “liberale” e deregulated. Nel libro infatti si difende a spada tratta il libero mercato, arrivando ad addossare tutte le guerre del Novecento alle colpe dei regimi anti-capitalisti.
È evidente che in quest'ottica la scuola viene ridotta a fabbrica di "efficienza" e “capitale umano”. Si forma il precario, non l’uomo, mentre l’identità nazionale viene ridotta al vago patriottismo dei valori democratici, cristiani e universali, senza forza né conflitto. E l’autorità, tanto cara ai vecchi parrucconi, non è nient'altro che la postura grottesca da preside Skinner, tutta ordine e regolamenti, ma senza visione né ispirazione.
Insomma, ciò che La rivoluzione del buon senso non mette in discussione è il ruolo sistemico della scuola come apparato di omologazione e conformismo a una società liquida, economica e profondamente post-identitaria. L’“ordine” che Valditara invoca è quello del mercato, dell’individualismo produttivo, dell’obbedienza civile. Dietro un libro apparentemente normale, si cela il manifesto politico di una destra borghese che non ha niente a che vedere con le istanze radicali, rivoluzionarie e comunitarie del nostro mondo.
Noi rivendichiamo l’opposto: una scuola che non formi impiegati, ma uomini. Una scuola fondata sulla disciplina interiore, sulla comunità, sull’appartenenza. Una scuola dove cultura significa comunità, corpo, militanza. Una scuola dove identità vuol dire coscienza, etica e stile. Perchè contro il “buon senso” dei conservatori noi sceglieremo sempre l'unico, vero, imperativo rivoluzionario: «vivi pericolosamente!».
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Nel suo libro "La rivoluzione del buon senso", il ministro Giuseppe Valditara disegna la visione di una società ordinata, efficiente, democratica. Ma dietro l’apparente rottura con il progressismo si cela l’ennesimo progetto conforme alle logiche del mercato, subordinato all’economia globale, perfettamente integrato nel paradigma liberale.
Il “merito” diventa la versione aggiornata del mito del self-made man: un’illusione di giustizia che ignora le disuguaglianze di partenza e consolida l’ordine esistente. Nessuna critica al capitalismo che produce queste disuguaglianze, nessuna messa in discussione del sistema. Anzi, Valditara cita con ammirazione Reagan e Thatcher, reclamando per l’Europa una svolta ancora più “liberale” e deregulated. Nel libro infatti si difende a spada tratta il libero mercato, arrivando ad addossare tutte le guerre del Novecento alle colpe dei regimi anti-capitalisti.
È evidente che in quest'ottica la scuola viene ridotta a fabbrica di "efficienza" e “capitale umano”. Si forma il precario, non l’uomo, mentre l’identità nazionale viene ridotta al vago patriottismo dei valori democratici, cristiani e universali, senza forza né conflitto. E l’autorità, tanto cara ai vecchi parrucconi, non è nient'altro che la postura grottesca da preside Skinner, tutta ordine e regolamenti, ma senza visione né ispirazione.
Insomma, ciò che La rivoluzione del buon senso non mette in discussione è il ruolo sistemico della scuola come apparato di omologazione e conformismo a una società liquida, economica e profondamente post-identitaria. L’“ordine” che Valditara invoca è quello del mercato, dell’individualismo produttivo, dell’obbedienza civile. Dietro un libro apparentemente normale, si cela il manifesto politico di una destra borghese che non ha niente a che vedere con le istanze radicali, rivoluzionarie e comunitarie del nostro mondo.
Noi rivendichiamo l’opposto: una scuola che non formi impiegati, ma uomini. Una scuola fondata sulla disciplina interiore, sulla comunità, sull’appartenenza. Una scuola dove cultura significa comunità, corpo, militanza. Una scuola dove identità vuol dire coscienza, etica e stile. Perchè contro il “buon senso” dei conservatori noi sceglieremo sempre l'unico, vero, imperativo rivoluzionario: «vivi pericolosamente!».
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