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‼️ La rivoluzione non è un meme
Le perquisizioni di queste ore confermano che lo Stato ha perso ogni senso del ridicolo e ha esteso la logica del sospetto e della repressione preventiva anche ai giovanissimi. Ormai bastano una frase scritta in una chat, un simbolo o un riferimento ideologico scomodo nella stanza per finire schedati o perquisiti come terroristi. Il segnale è chiaro: non si colpiscono più reati concreti, ma identità, subculture e posizioni non allineate.
Allo stesso tempo, serve fare urgente chiarezza anche dall’altra parte. Ci rivolgiamo quindi agli studenti e ai giovani che ci seguono: spacciarsi per rivoluzionari su Telegram o su canali chiusi non ha nulla a che fare con l’impegno reale di una militanza politica integrale e radicale. La politica non si fa con meme, imitazioni, provocazioni anonime e un vocabolario di citazioni prese da internet. È un lavoro serissimo che richiede studio, presenza, responsabilità e volontà di agire nella società. Ma è anche uno stile di vita autentico, fatto di emozioni e legami molto più forti di un social.
Gli allarmi artificiali creati ad hoc dai giornali sul "baby terrorismo" ci fanno schifo quasi quanto le grottesche caricature del dissenso che si trovano nella sfera digitale. Perchè chi evita l'impegno diretto per costruirsi un immaginario "ribelle" sui social, finisce inevitabilmente per essere usato come capro espiatorio di un sistema politico, giudiziario e mediatico che ha bisogno di mostri per tirare a campare.
🏴🔗 La sola militanza incisiva è quella reale, visibile, fondata su idee chiare, stile vitale e azione concreta. In un'epoca di sorveglianza e finzione, restare presenti, formati e attivi è l’unica vera forma di opposizione.
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